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cristina mantegna sottoscritta dai medesimi testimoni. Il testo di due di esse,49 più nello specifico, si conclude dando conto di un’avvenuta redazione di due esemplari identici nel dettato, anch’essa piuttosto inconsueta in quanto suggerisce l’esistenza di un duplice interesse nel detenere il documento, a differenza di quanto non avvenga di solito per scritture di tal natura. Il fenomeno delle cartule ordinacionis piacentine si inserisce in una prassi già nota agli studiosi50 e attestata, oltre che in territorio lombardo, anche ad Asti e Novara,51 da un lato, e a Reggio Emilia,52 dall’altro. Nelle ricerche di Cinzio Violante e Gabriella Rossetti degli anni Sessanta del secolo scorso,53 una maggiore attenzione è stata dedicata ai documenti del territorio milanese, di tenore molto simile a quelli di Piacenza da cui si distinguono per la presenza costante di clausole con le quali talora si accordava all’usufruttuario la facoltà di alienare il bene, talaltra si stabiliva che il beneficiario dell’usufrutto avesse l’obbligo di versare un fitto (fictum). Di qui, la convinzione che in realtà le carte non contenessero delle disposizioni di ultime volontà ma documentassero piuttosto prestiti in danaro erogati da fondazioni ecclesiastiche,54 che avrebbero incamerato i beni qualora la somma non fosse stata restituita, oppure concessioni terriere a titolo di precaria.55 Non si può certo negare che la prassi, nei momenti di passaggio, potesse ricorrere a modelli ormai consolidati per rappresentare atti giuridici che non avevano un proprio ‘contenitore’ dedicato o che magari fossero considerati poco leciti; ma l’ipotesi di un contratto di precaria dissimulato sembra poco fondata, in considerazione dell’esistenza di una scrittura documentaria tipica per le concessioni terriere e ben nota all’epoca anche a Piacenza. A proposito invece del fatto che si trattasse di 49 Piacenza, Archivio del Capitolo di S. Antonino, Diplomatico b. 4, nn. 527 e 541. 50 Il fenomeno è stato segnalato, tra i primi, da Giulio Vismara il quale considerava tali atti come conseguenza di una volontà di disporre del proprio patrimonio in modo non consentito dalla legge (cfr. Vismara 1941, pp. 449–450 nota 6). 51 Si veda Gabotto 1904, n. LVII, pp. 104–106 (a. 941) e n. CXXXVI, pp. 262–263 (a. 1007); Gabotto-Lizier 1913, n. CCLXXVIII, pp. 160–161 (a. 1096). 52 Cfr. Torelli 1921, n. CXXIII, pp. 310–313 (a. 1025); n. CLXVIII, pp. 407–408 (a. 1045). 53 Ci si riferisce a Violante 1962 e Rossetti 1968. 54 Cfr. Violante 1962. 55 Rossetti 1968 e come d’altra parte osservato da Pivano (v. supra nota47). 195

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